Comunicato stampa: cerimonia del 78° anniversario dell’Internamento e consegna di una targa all’ex internato padovano Luigi Marchetti
Si è svolta domenica 3 ottobre, di fronte alla Chiesa dell’Internato Ignoto a Terranegra, la cerimonia per il 78° anniversario dell’Internamento alla presenza della autorità civili, militari e religiose e di un folto gruppo di parenti dei militari internati nei campi di concentramento. In questa occasione, in Municipio, il sindaco Sergio Giordani ha anche insignito di una targa Luigi Marchetti, ex internato padovano, che nonostante i suoi 98 anni continua nella sua opera di testimonianza e memoria di quei terribili fatti.
Luigi Marchetti è stato uno 613.000 militari italiani che, nel corso dei suoi 22 mesi di prigionia in Germania, ha sempre rifiutato di collaborare con i tedeschi e di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Con il suo rifiuto ha contribuito ad un’epica e corale resistenza, senza armi, al nazifascismo. Ripudio che ha contribuito alla rinascita del nostro Paese dopo vent’anni di dittatura e all’affermazione dei valori di democrazia e di libertà, di cui beneficiamo ancora oggi.
La motivazione del riconoscimento da parte del Comune di Padova: "Luigi Marchetti dimostrando, poi, elevato senso civico si è sempre prodigato per divulgare gli orrori della guerra e del nazifascismo e, in questi ultimi anni, quale socio Anei, (Associazione nazionale ex internati) nonostante l’età avanzata, quando ha potuto, ha fornito significative testimonianze alle giovani generazioni".
Il discorso del sindaco, Sergio Giordani
"Signore, signori,
porgo il mio saluto alle autorità civili militari e religiose, ai rappresentanti dell’Associazione nazionale ex internati, alle Associazioni dei combattenti e reduci, alle Associazioni d’arma e agli ospiti presenti. Un saluto e un abbraccio ai parenti degli ex internati militari, che sono qui con noi per ricordare i loro i loro congiunti, vittime della violenza nazifascista, e protagonisti di una pagina importante della nostra resistenza e della lotta per la libertà e la democrazia.
Questi uomini, circa 650.000 secondo gli storici più accreditati, combatterono una resistenza senz’armi, non meno dura, difficile e pericolosa di quella che vide protagonisti tanti uomini e donne, nelle nostre montagne, nelle nostre campagne e nelle città. E' una storia ancora troppo poco conosciuta, e la celebrazione di questa ricorrenza, davanti al sacrario dedicato all’internato ignoto e al museo dell’internamento ha il duplice obiettivo di portare il nostro omaggio a questi uomini giusti e coraggiosi e di tener viva la memoria di questi accadimenti.
Dopo l’8 settembre del 1943, in Italia ma soprattutto sui vari fronti guerra in Europa, nei Balcani, in Grecia, centinaia di migliaia di soldati del nostro esercito furono catturati dalle truppe naziste e internati in veri e propri campi di concentramento, quando non uccisi spesso in modo barbaro e crudele, al loro rifiuto di deporre le armi. Per l’esercito tedesco, la firma dell’armistizio, aveva trasformato automaticamente i nostri militari da alleati in pericolosi nemici. Ai nostri militari fatti prigionieri fu proposta una scelta apparentemente facile: unirsi all’esercito tedesco - o nei mesi successivi aderire alla Repubblica di Salò - e continuare a combattere fianco a fianco con nazisti e fascisti, o essere rinchiusi in campi di prigionia.
Solo pochi chinarono la testa e accettarono. La conseguenza del loro "no" fu l'internamento nei lager nazisti, non come prigionieri di guerra, ma con lo status mai utilizzato prima di Imi, Internati militari italiani, e in spregio a tutte le convenzioni internazionali. La loro fu una scelta di resistenza, di dignità e di libertà a causa della quale andarono volontariamente incontro a una detenzione che fu molto simile per le condizioni di vita ai tristemente famosi campi di sterminio.
Molti di loro vennero costretti al lavoro obbligato in condizioni durissime ma ribadirono più volte il loro rifiuto alla proposta di liberazione in cambio dell’adesione al nazifascismo, pur sapendo che questo poteva costare loro la vita. Circa 50.000 morirono a causa della fame, degli stenti, delle violenze, e dei bombardamenti.
Questi prigionieri italiani, una volta finita la guerra, e tornati a casa spesso in modo avventuroso, trovarono un Paese distratto rispetto alle loro vicende e questo, assieme alla umanissima - e per certi aspetti necessaria - voglia di guardare avanti, di costruirsi una vita serena e sicura, ha fatto calare per troppi anni il silenzio su questa importante pagina della nostra Guerra di Liberazione.
Per molto tempo, tanti di loro, non hanno raccontato la drammatica esperienza della prigionia nemmeno ai parenti e agli amici più stretti. Ma con il passare degli anni, con la consapevolezza che con loro sarebbe sparita la testimonianza di quei fatti terribili, hanno iniziato, spesso con dolore e grande pudore, a raccontare quanto loro era accaduto, quello che avevano vissuto in quei luoghi d’inferno.
Lo hanno fatto e lo stanno facendo ancora, svelando i taccuini e fogli per tanti anni custoditi in silenzio, e nei quali hanno appuntato fatti, nomi, paure e speranze. Lo fanno con grande senso civico, andando nelle scuole per testimoniare alle nuove generazioni la violenza della guerra. Grazie a loro, all’impegno dell’Associazione nazionale ex internati, ai parenti dei militari morti allora o che il passare degli anni ci ha portato via possiamo conoscere un importante capitolo della nostra storia apprezzare il valore e la dignità di questa resistenza senz’armi.
Ricordiamo chi ha sacrificato la propria vita per un ideale di libertà e democrazia, e facciamo la nostra parte, in modo che la memoria di questi avvenimenti e l’insegnamento che ci trasmettono, siano conosciuti e compresi anche dei nostri giovani, che hanno la fortuna di vivere in pace in un Paese libero. La libertà e democrazia, così dolorosamente conquistate debbono essere difese sempre, come bene primario del nostro Paese.
Questi uomini, 78 anni fa, non ebbero esitazioni a decidere da che parte stare. Non dimentichiamoli".
Note biografiche dell'ex internato militare Luigi Marchetti
Il signor Luigi Marchetti è nato a Cervarese Santa Croce (PD) l’11 settembre 1923.
Dopo le scuole dell’obbligo, a Padova, ha frequentato l’Istituto Dante Alighieri, conseguendo il diploma di “computista commerciale”. Prima di essere chiamato a prestare il servizio militare ha disimpegnato il lavoro di magazziniere.
Nel gennaio 1943 viene chiamato a svolgere il servizio militare presso il 5° Reggimento artiglieria di Corpo d’armata, allora di stanza a Pola. Successivamente, è stato assegnato 112° Gruppo di artiglieria - su obici da 149/13, a Karlovac.
Dopo l’armistizio, il 9 settembre viene catturato dagli Ustascia croati e consegnato, insieme ai suoi commilitoni, ai tedeschi. Viene deportato nel Lager IV B e schedato con il numero KG234209. Successivamente è “trasferito” a Radenberg (vicino a Dresda), nell’Arbeitkommando 1142, dove viene obbligato a lavorare nella fabbrica Glassekarrosserie, insieme ad altri 74 I.M.I., per costruire “parti” di aerei.
Più volte gli viene proposto di collaborare con i tedeschi, ma oppone sempre un netto rifiuto. La fame, il freddo e il sonno lo perseguiteranno per tutto il periodo di prigionia.
Dopo il bombardamento di Dresda viene deportato nell’Est Europa. per scavare fossati anticarro.
Il 5 maggio 1945 è stato liberato dai Russi.
Il 21 giugno 1945, dopo molte peripezie, partendo dalla Cecoslovacchia, giunge a Padova e viene accolto nel Centro allestito presso l’Istituto “Barbarigo”, creato per assistere i Reduci dei Lager.
Dopo la guerra, nel 1946, è stato assunto come impiegato presso la Sede padovana della “Farmitalia” dov’è rimasto fino alla pensione (1976).
Vedovo dal 2014, dopo cinquantotto anni di matrimonio con la Signora Giulia, oggi vive da solo.
Onorificenze: Maestro del Lavoro; Croce al Merito di guerra; Medaglia d’Onore in qualità di Ex internato nei Lager.
L’Associazione nazionale ex internati (Anei), è stata costituita dai sopravvissuti Reduci militari internati nei Lager nazisti nel 1945 ed è stata riconosciuta dal Presidente della Repubblica. Gli Internati militari italiani (Imi), tra i prigionieri di guerra della Seconda Guerra Mondiale, furono quelli che, deportati dopo l’8 settembre 1943, si rifiutarono di collaborare, prima con le formazioni germaniche della Wehrmacht e delle SS, e poi, dopo la costituzione dello Stato fascista, di aderire alla Repubblica Sociale Italiana.