Johannes Lepsius
Johannes Lepsius (1858-1926) pastore evangelico tedesco, dedicò la vita ad interventi umanitari a sostegno di perseguitati armeni, siriaci e di altre fedi ed etnie e alla diffusione di ideali pacifisti basati sulla conoscenza reciproca e sul rispetto tra i popoli.
Colpito dalle notizie dei massacri degli armeni, commessi durante il governo del sultano Abdul Hamid II, Lepsius, che ha fondato nel 1895 la Deutsche Orient-Mission, visita i luoghi delle stragi. Grazie ad aiuti finanziari di benefattori tedeschi e americani, fonda due orfanotrofi a Talas e a Urfa.
Partecipa dal 1912 al 1914 agli incontri di Istanbul, Parigi e Londra dove si affronta la questione delle riforme che avrebbero dovuto migliorare le condizioni della minoranza armena, relativamente alla salvaguardia dei diritti umani. Nella primavera del 1914 l’Impero ottomano e le grandi potenze - Russia, Germania, Inghilterra - sottoscrivono delle riforme che resteranno però solo sulla carta, a seguito dello scoppio della guerra. Lepsius non condivide la politica della Germania e l’alleanza con un paese, la Turchia, che dal 1908 è di fatto nelle mani di un movimento politico, Unione e Progresso, in cui anno dopo anno sono prevalse forze ultranazionaliste ispirate al panturchismo.
Constatata la non volontà da parte della Germania di intervenire per fermare le deportazioni e i massacri, facendo valere il suo ruolo di direttore della Deutsche Orient-Mission, Lepsius si reca a Istanbul con l’obiettivo di incontrare i membri del triumvirato e di indurli a desistere dai loro progetti genocidari. Purtroppo i suoi sforzi risulteranno vani. Nel romanzo di Franz Werfel "I Quaranta giorni del Mussa Dagh" un capitolo è dedicato al drammatico colloquio tra Lepsius ed Enver Pascià. Quanto descritto lascia pochissimo spazio all’invenzione letteraria, ma è basato su una dettagliata documentazione che lo stesso Lepsius fornì allo scrittore tedesco.
Una volta tornato in patria, sia pur sconfitto nella sua battaglia contro il triunvirato, Lepsius non intende arrendersi e redige un "Rapporto sulla condizione armena in Turchia". Nonostante i severi divieti imposti dalla censura militare, il testo viene pubblicato a Postdam nel 1916 in 20.000 copie. Molti tipografi si erano rifiutati di pubblicare un’opera che, denunciando fatti tanto atroci, gettava inevitabilmente cattiva luce anche sulla Germania, che poteva essere accusata di complicità o come minimo di colpevole indifferenza. Lepsius comunque trovò chi ebbe il coraggio di sostenerlo e le 20.000 copie furono efficacemente fatte circolare.
Attorno a Lepsius si fece comunque presto terra bruciata, perfino all’interno della stessa missione che egli aveva fondato, tanto da vederlo costretto a lasciare la Germania alla volta dell’Olanda. Anche nel paese ospitante egli continuò l’opera in difesa del popolo armeno e, due anni e mezzo dopo, pubblicò un’opera fondamentale intitolata "Germania e Armenia 1914-1918: raccolta di documenti diplomatici". Da questo lavoro emerge che un congruo numero di consoli della Germania in Anatolia, Siria e Mesopotamia e precisamente di stanza a Trebisonda, Samsum, Adana, Alessandretta, Aleppo, Damasco, Mossul avevano inoltrato regolari e dettagliati rapporti su quanto stava avvenendo a danno della minoranza armena, sia all’Ambasciatore che al Cancelliere tedesco. Questo quadro chiarisce meglio la posizione assunta dal governo tedesco in merito ai massacri.
Nel 1921 Lepsius è chiamato a deporre quale esperto di questioni armene e testimone delle stragi, al processo a carico di Soghomon Tehlirian, reo confesso dell’assassinio di Talaat Pascià, tenutosi a Berlino. Lepsius riferì in modo dettagliato le modalità con cui venivano compiuti i massacri, non trascurando di denunciare gli stupri e i rapimenti di giovani donne e bambini. Nel corso della deposizione espresse anche la convinzione che i consiglieri militari tedeschi presenti sul posto fossero da ritenersi complici, non avendo alzato un dito per bloccare la macchina genocidaria. Probabilmente la sua deposizione incise in modo significativo sulla clamorosa decisione della Corte che stabilì di assolvere l’imputato, vista l’eccezionalità delle circostanze in cui l’omicidio era maturato.