Ghetto
Dove si trova: la zona tuttora chiamata popolarmente "Ghetto" si estende tra via Marsala a sud, via Roma a est, piazza del Duomo-via Barbarigo a ovest e via Manin-piazza delle Erbe-via San Canziano a nord. Ha come asse principale via San Martino e Solferino.
Siti utili: Museo Padova ebraica
Nei pressi: Sinagoga, Duomo e Battistero, Chiesa di San Canziano, piazza delle Erbe, nelle vicinanze Orologio Astrario, Loggia della Gran Guardia e piazza dei Signori.
A sud della piazza delle Erbe si snoda un labirinto di strade strette che formano il Ghetto ebraico, operante dal 1603 e abolito nel 1797, anno in cui, sotto la spinta della Rivoluzione Francese, gli ebrei furono dichiarati liberi e uguali.
I primi insediamenti ebraici a Padova risalgono al secolo XII, ma è dopo la metà del '300 che la comunità cresce e si sviluppa, grazie anche alla nascita dell'Università che, a differenza di tutte le altre in Italia ed in Europa, ha sempre accettato studenti di ogni religione, inclusa quella ebraica. In epoca comunale e carrarese poi, lo sviluppo dei commerci richiama in città molti prestatori di denaro e venditori di oggetti di seconda mano, facendo così diventare Padova punto di incontro di ebrei di diversa provenienza e cultura. Gli insediamenti originali di S. Leonardo (lungo il Tronco Maestro del Bacchiglione, nei pressi di via Savonarola) divennero presto insufficienti e poco pratici, data la lontananza sia dalla zona dei commerci di piazza delle Erbe, che dall'Università. Si crearono così tre raggruppamenti: gli italiani nella zona di Porta Altinate, i tedeschi (askenaziti) e gli spagnoli (sefarditi) nella zona dietro S. Canziano.
Nel '400 i decreti spagnoli di espulsione di tutti gli Ebrei dai loro possedimenti e la confisca dei loro beni, spinsero molte famiglie verso l'Italia e in particolare verso la Toscana e la Repubblica di Venezia, la cui legislazione era decisamente più tollerante. Nella prima metà del secolo sono soprattutto gli ebrei romani ad arrivare a Padova, il loro primo insediamento nella Terraferma veneta, spinti dalla rigidità dello Stato delle Chiesa. Molte famiglie si spostano poi, principalmente per ragioni d'affari, in altre zone della regione, spesso verso il vicentino. La comunità ebraica tedesca askenazita, in genere proveniente da Treviso, si insedia fortemente a partire dalla seconda metà del Quattrocento.
Dopo la guerra della Lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta e i conseguenti assedi di Padova che si protrassero dal 1509 al 1513, anche la comunità italiana si trasferisce nella zona a ridosso di piazza delle Erbe, in quello che diverrà poi il Ghetto di Padova.
Il ghetto, "Loco stabile et separato, deputato agli Ebrei; né alcun cristiano in quello possi star, overo tegnir botéga", come diceva un avviso del 1603, era chiuso di notte da quattro porte sorvegliate ciascuna da un ebreo e da un cristiano, pagati dalla Comunità ebraica: quella settentrionale in via delle Piazze, poco a sud di San Canziano; quella orientale, la porta di Santa Giuliana, fatta costruire dal podestà e dal gran consiglio, in via San Martino e Solferino un tempo via Sirena, vicino allo sbocco in via Roma; quella occidentale nella stessa strada, prima dell'incontro con via dei Fabbri; quella meridionale in via dell'Arco, dove confluisce in via Marsala. Queste porte impedivano l'uscita degli ebrei dopo le due di notte; nel 1797 furono abbattute e gli ebrei vennero chiamati a far parte della municipalità. Rimangono tracce dei cardini presso il lato occidentale della Chiesa di S. Canziano e presso una parete di un edificio all'incrocio di via S. Martino e Solferino con via Roma, dove due lapidi, una in latino e l'altra in ebraico, ricordavano agli ebrei di ritirarsi all'interno del loro quartiere al tramonto.
Nel '600 quasi tutti gli Ebrei d'Italia sono ormai rinchiusi nei ghetti. I ghetti italiani sono formati o di un grande cortile rettangolare, lungo il quale sono allineate le case, coi negozi e le abitazioni intercomunicanti, il tipico chatzèr, ossia cortile; oppure di una via o di una piazza centrale nella quale sboccano viuzze laterali secondarie, o di un complesso di stradine formanti un piccolo quartiere nel centro (come nel caso di Padova); oppure anche, i più piccoli, di una sola contrada coi due portoni agli sbocchi.
Nessun ebreo può abitare fuori del ghetto, né uscirne senza il "segno giudaico" (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello giallo, o con nastri gialli o velo giallo). Soltanto la Repubblica Veneta permetteva agli Ebrei di passaggio di girare tre giorni senza.
Nel '600 nel Ghetto vi erano ben 63 frequentatissime botteghe in cui si vendeva di tutto. Gli ebrei esercitavano però soprattutto l'arte della "strazzeria", il piccolo commercio di cose usate, con le loro botteghe assai frequentate. Molti si dedicarono all'industria degli argentieri da loro iniziata e portata a grande sviluppo, fino al 1777 quando la Repubblica Veneta permise di esercitare il solo mestiere della "strazzaria". Visto che non erano ammessi presso le corporazioni di Arti e Mestieri, praticavano il prestito del denaro, attività vietata ai cristiani e che garantì a molti prestatori il diritto di residenza grazie all'intercessione dei Signori feudali, che avevano sempre la necessità di procurarsi rapidamente il denaro per mantenere le proprie milizie. Ai loro "banchi" ricorrevano studenti e professori per prestiti e pegni. Il primo banco ufficiale gestito da un ebreo risale al 1372 preso ponte Molino; un altro cominciò la sua attività nel 1369 in piazza delle Legne (attuale piazza Cavour), dove pare sorgesse anche una sinagoga. Pian piano le loro attività cominceranno a gravare intorno alla zona dove sorgerà successivamente il ghetto.
Dato che agli ebrei era vietato risiedere altrove, come a Venezia, le case del quartiere, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, si sono sviluppate in altezza e, nonostante le trasformazioni e i rifacimenti, conservano ancora l'impianto romanico. Di particolare interesse le quattro colonne con capitelli tutti diversi in via San Martino e Solferino, di fronte all'imbocco di via dell'Arco. In via dell'Arco si trova l'Hotel Toscanelli, un tempo sede dell'Accademia Rabbinica, di cui oggi conserva ancora un caminetto con lo stemma della famiglia Salom.
All'incrocio con via Spirito Santo e via Marsala si possono ancora osservare le case-torri sopraelevate, tipiche del quartiere ebraico. Palazzo Strozzi, al n. 37 di Via S. Martino Solferino, fu sede delle attività economiche dell'esule fiorentino Palla Strozzi che nel 1434 giunse a Padova. Si narra che il vecchio mercante controllasse i suoi garzoni che tenevano un banco in piazza delle Erbe dal balconcino sotto il portico. Poco oltre, attraverso un sottoportico, si raggiunge la Corte Lenguazza, con loggetta e ruderi della vecchia Sinagoga. In passato costituiva l'animato centro sociale e religioso del quartiere: qui vi si potevano acquistare gli azzimi e la carne preparata secondo i rigidi precetti ebraici. Verso est, in via delle Piazze, sorgeva la prima grande Sinagoga di rito tedesco che fu inaugurata nel 1525 e che nel 1943 venne distrutta da un incendio. Il suo restauro è stato terminato nel 1998.
Su prenotazione è possibile visitare alcuni dei sette cimiteri ebraici ancora esistenti quelli antichi nell'area del Borgese, con tombe di personalità celebri dell'ebraismo europeo; quello moderno di Brusegana, le cui tombe sono testimonianza diretta dell'importante ruolo svolto in città dagli ebrei nell´Ottocento. Altra testimonianza importante dell'ebraismo padovano è il Palazzo Cumano in via San Gregorio Barbarico che nel XIX secolo ospitava invece il Collegio Rabbinico del Lombardo Veneto, a cui confluivano studenti del rabbinato di tutto l'impero asburgico.
Nel corso del 1800 il ghetto entrò a pieno diritto nella vita cittadina e soprattutto di quella degli studenti. Arnaldo Fusinato ricorda l'origine del modo di dire "restare in bolletta": gli studenti senza soldi vendevano il loro mantello nel ghetto in cambio del quale ricevevano una carta bollata (bolletta).
Dopo l'applicazione delle leggi razziali del 1938 la comunità ebraica di Padova contava circa 300 iscritti e dopo la liberazione erano circa 200. I deportati senza ritorno furono 46.
La bellezza del ghetto sta nelle sue vie anguste, nelle suggestive facciate di alcuni palazzetti, nelle altissime abitazioni, nelle piccole botteghe d'antichissima tradizione, che si sono diffuse anche nelle vie circostanti dopo la soppressione del Ghetto.
Oggi in questa suggestiva zona si concentrano molte enoteche e localini tipici.
Appena fuori dal confine del ghetto storico, in via Marsala, si trova Palazzo Papafava dei Carraresi di una delle più antiche e importanti famiglie della città.